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AVVOLTOI INTERNAZIONALI CONTRO IL LEVIATANO ARGENTINO

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In una precedente analisi(1), si è data rilevanza al “duello” consumatosi tra la direttrice del FMI Christine Lagarde e la presidentessa argentina Cristina Fernández de Kirchner. Lo scontro  nasce da una denuncia della prima in riferimento alla scarsa trasparenza dei dati macro-economici forniti dal Paese sudamericano, paventando una sua possibile espulsione dall’organizzazione internazionale.

Nonostante la minaccia, il 17 dicembre 2012 nessun Paese è stato espulso. La “Guerra delle due Cristine” si è quindi conclusa? Non proprio. L’importanza della vicenda e la portata delle sue conseguenze internazionali sono tali da non poter garantire una fine così semplice. Nello stesso giorno, infatti, con il comunicato stampa n. 12/488(2) il direttore delle Relazioni Esterne del FMI ha presentato all’Executive Board dell’organizzazione un rapporto in merito alla risposta data dal governo argentino e fornirà le sue considerazioni entro la fine di gennaio.

Seppur importante, una lettura della questione attraverso delle dichiarazioni proclamate in sedi internazionali o rilasciate ai diversi media globali permette di cogliere parzialmente il senso della vicenda, di vedere una sola parte del tutto. Occorre quindi aprire la prospettiva di osservazione per cercare altri elementi, utili a una comprensione più profonda.

Nei mesi appena trascorsi, è possibile notare alcuni avvenimenti che, se analizzati e inquadrati nella vicenda, sono in grado di riportare il tutto sotto una luce differente. Soprattutto, permettono di tracciarne la complessità e di evidenziare come alle parole siano seguiti i fatti.

 

 

Le parti in causa

Sul finire del mese di novembre, il giudice federale statunitense Thomas P. Griesa ha imposto al governo della Repubblica argentina il pagamento di 1,3 miliardi di dollari a favore di un gruppo di fondi speculativi, detenenti una fetta di titoli del tesoro argentini. La sentenza è il risultato di una battaglia legale decennale intrapresa dai cosiddetti fondi avvoltoi, dopo il rifiuto di partecipazione alla rinegoziazione del debito sovrano argentino.

Prima di addentrarsi in un’analisi dei contenuti e delle implicazioni che tale misura comporta, è necessario per un momento focalizzare l’attenzione sui soggetti coinvolti in essa.

A un primo sguardo, è semplice distinguere le due figure principali: da un lato lo Stato argentino, dall’altro un gruppo di “hedge funds” guidati dai fondi d’investimento Elliott Capital Management e Aurelius Capital Management(3).

Dal default d’inizio secolo, il Leviatano sudamericano promuove delle misure finalizzate al recupero di una funzione di controllo in settori cruciali, come l’economia e le politiche sociali. Con i governi di Néstor e Cristina Kirchner, nell’ultimo decennio è stata abbandonata l’austerità neoliberista imposta con il Washington Consensus e dal FMI, per abbracciare una tendenza neostatalista volta al rafforzamento di quelle prerogative leviataniche, dismesse durante il corso delle sfrenate liberalizzazioni degli anni ’90.

Sotto questa luce, vanno dunque lette sia la recente re-nazionalizzazione di YPF – colosso petrolifero, la cui quota di maggioranza è rientrata all’interno dei confini nazionali – che l’imposizione di limiti all’acquisto di valuta straniera (dollari ed euro), da opporre a un’ingente fuga di capitali(4). Infine, il limite imposto alle importazioni e mirato a favorire la produzione nazionale.

Il 28 novembre 2012, è stata inoltre varata la riforma della regolamentazione del mercato di capitali. Con una rafforzata capacità di controllo e di sanzione, lo Stato si riappropria del ruolo di regolatore centrale, frenando la speculazione finanziaria internazionale e sottoponendola alla sua supervisione centrale. Altro elemento importante, è la fine dell’obbligatorietà di emettere titoli di debito che comprendano una valutazione del rischio, rompendo così l’oligopolio delle agenzie di rating Fitch, Moody’s e Standard & Poor’s(5).

La sostanza della legge è di riportare il potere finanziario dentro il perimetro del controllo statale, rendendolo nuovamente il braccio operativo dell’economia. Nondimeno, rappresenta l’ultima tappa di un percorso verso il recupero di un centralismo statale, soprattutto in campo economico – una tendenza che, va notato, interessa anche altri Paesi del cono sudamericano, come il Brasile, il Venezuela, l’Ecuador e la Bolivia.

In contrapposizione, sull’altro lato della vicenda si situano i fondi speculativi d’investimento, o fondi avvoltoi. La metafora utilizzata per definire questi soggetti è estremamente efficace e si esprime nella loro principale attività, concentrata sull’acquisizione di titoli di debito sovrani di Stati considerati deboli o prossimi al collasso.

Queste operazioni si svolgono sul mercato finanziario secondario, dove è possibile acquistare i titoli già emessi e a un valore spesso inferiore rispetto a quello nominale. Il loro scopo non è la volontà di investire nel Paese di cui stanno comprando parte del debito, assumendosi così l’elevato rischio finanziario, piuttosto l’obbiettivo risulta la futura richiesta di rimborso per l’intero valore nominale dei titoli posseduti insieme agli interessi, quando il Paese debitore è in default.

Quanto appena descritto è ciò che si verificò in Argentina. Finito in bancarotta (2002), il governo decise di percorrere la via della rinegoziazione del debito, pagando ai suoi detentori la somma di 30 centesimi per ogni dollaro investito. Una minoranza di essi, tra cui i fondi Elliott Capital Management e Aurelius Capital Management, non accettarono l’offerta e si mossero per vie legali arrivando fino alla sentenza del novembre scorso.

Nel discorso finora esposto è interessante rilevare due aspetti. Il primo evidenzia come la dimensione della “Guerra delle due Cristine” abbia assunto forme e dinamiche differenti: al monito lanciato dalla direttrice Lagarde si è aggiunta l’azione di soggetti i cui interessi si collocano oltre la necessità di chiarezza per le regole del gioco. L’ingresso di nuovi attori sottolinea quindi il mutamento di dimensione della questione e l’impossibilità di definirla conclusa. A dimostrazione di ciò si riporta l’attenzione al declassamento di titoli di stato argentini, recentemente approvato dalle agenzie di rating Fitch e Moody’s.

Il secondo rende chiara la frizione presente tra due protagonisti. Se da un lato è dunque visibile un progressivo re-accentramento di funzioni di controllo, dall’altro è altrettanto visibile il tentativo di elusione di tale processo. Del resto, nelle ultime due decadi il potere finanziario ha raggiunto un’autonomia di manovra e una capacità di intervento tali da poter occupare un posto rilevante nelle dinamiche globali. Questa circostanza si è determinata grazie alla progressiva deregolamentazione compiuta dallo Stato in quegli anni, da cui deriva anche lo scoppio della crisi attualmente in atto. In quest’ottica, tale frizione diventa quindi riaffermazione statale da una parte e utilizzo e mantenimento del potere acquisito dall’altra.

 

 

I fatti

Il 9 gennaio 2013, di fronte ad una folla inneggiante, si è celebrato il ritorno della fregata “ARA Libertad” sul suolo argentino. L’ufficialità dell’evento è data dal suo significato simbolico: “una lezione storica nella difesa incondizionata della sovranità e dignità nazionale”(6) argentina.

La nave scuola è stata oggetto di una battaglia legale tra la Repubblica sudamericana e la Repubblica del Ghana, combattuta davanti al Tribunale Internazionale per il Diritto sul Mare. L’autorità ghanese, su ordine di un giudice della capitale Accra e in risposta a una richiesta da parte dei fondi avvoltoi, ha posto sotto embargo l’imbarcazione nel porto di Tema come garanzia per il mancato pagamento del debito da parte argentina. Nel mese di novembre il governo di Buenos Aires ha fatto ricorso contro la sentenza, ritenendo inammissibile un embargo su una nave militare e considerandolo un attacco alla propria sovranità. Il 15 dicembre il Tribunale si è espresso a favore delle istanze argentine e ha deliberato il rilascio immediato della fregata(7).

Il caso “ARA Libertad” non è, tuttavia, isolato. Verso la fine di ottobre, Héctor Timerman – Ministro degli Esteri argentino – ha elencato altri 28 esempi di sequestro di asset statali sempre per lo stesso motivo, tra cui figurano il jet presidenziale, le ambasciate in Francia e Germania, un satellite per le comunicazioni e i conti corrente bancari nazionali depositati a New York(8).

Oltre a confermare il potere di questi attori finanziari, quanto annunciato dal ministro rende più chiaro il discorso fatto in precedenza, anche in relazione alla frizione evidenziata tra i due soggetti. A esplicitare definitivamente la questione sono le parole utilizzate dalla presidentessa nel definire l’attività di tali fondi come il prodotto di un “anarco-capitalismo” causato dall’assenza di regole globali.

Il caso della fregata “ARA Libertad” e la sentenza Griesa rappresentano dunque due facce della stessa medaglia, da considerare parte di un unico processo. Ciononostante, è in merito alle conseguenze che le due storie divergono.

Se il caso della nave scuola si può dire concluso positivamente, non è altrettanto possibile dirlo per la sentenza del giudice statunitense. Oltre a imporre il pagamento della somma detenuta dagli hedge funds, Griesa ha vietato il pagamento dei titoli detenuti da tutti gli altri investitori che accettarono la rinegoziazione fino a quando l’ordine di versamento dell’importo non sarà eseguito.

Questa zelante interpretazione della clausola pari passu(9) ha dei risvolti sia sul piano tecnico che internazionale. Il primo è di porre nuovamente in default il Paese – rifiutandosi di pagare l’importo ai fondi avvoltoi, all’Argentina è di fatto vietato il pagamento della somma in mano agli altri detentori. Il secondo è di fissare un principio generale che mina gli accordi di rinegoziazione debitoria, necessari alla preservazione della finanza internazionale e del mercato globale dei titoli. Se sarà possibile riscuotere l’intera somma di un debito anche quando un Paese ha dichiarato bancarotta, il fatto stesso di rinegoziare tale debito al fine di recuperarne almeno una parte non avrà più senso.

Una settimana dopo l’emissione, la Corte d’Appello di New York ha bloccato l’esecuzione della sentenza in seguito al ricorso argentino, arginando momentaneamente l’effetto di tali conseguenze.

Resta da porsi un ultimo interrogativo, forse il più importante: perché si è determinato un simile scenario? In un articolo del quotidiano The Guardian, Jayati Ghosh e Matías Vernendo provano a dare una risposta(10). Secondo il loro punto di vista, la vera ragione risiede nei risultati economici argentini seguiti al collasso, ottenuti con l’abbandono delle politiche di austerità e con un processo di re-nazionalizzazione di settori produttivi chiave. Una storia di pericoloso successo, il cui significato “dimostra che c’è una vita dopo un default e che l’austerità non è la miglior via d’uscita da una crisi”.

I due autori sostengono, inoltre, che la pressione esercitata sull’Argentina attraverso sentenze legali, declassamenti e altre misure sia frutto di una crescente preoccupazione tra le élites finanziarie e i loro alleati nel sistema giuridico. Il fatto che altri Stati – soprattutto in Europa – possano trarre dall’esperienza argentina un esempio da emulare rappresenta una circostanza da evitare in ogni modo.

Anche se plausibile, provare e quindi confermare la veridicità di  questa interpretazione non è semplice. Soprattutto, lo scopo della presente analisi non risiede in tale sforzo. É interessante notare, invece, che la presenza di determinati attori nell’attuale arena globale ha innescato delle dinamiche incontrollate, il cui potenziale destabilizzante ha raggiunto ormai un livello elevato. La sovranità di uno Stato è uno degli elementi cardine, storicamente costruito, su cui si basa l’ordine mondiale – il fatto che un ristretto gruppo di interesse, attraverso una molteplicità di mezzi, arrivi a lambirlo alle sue fondamenta non è da sottovalutare. Nel già citato articolo, i due autori chiosano con una frase che coglie appieno il senso della questione: “ancora una volta, la finanza internazionale e i suoi partner possono mordere le mani che li hanno nutriti(11), con delle conseguenze potenzialmente disastrose persino per la finanza”.

Il medesimo senso si ritrova nelle parole della presidentessa argentina, quando afferma che “è necessario capire che la lotta che stiamo portando a termine non è solo qualcosa che importa al nostro Paese. Da ciò dipende anche, in buona parte, un nuovo ordine che deve darsi nel mondo. Con le regole attuali, stiamo vedendo come molti si stiano rendendo conto che è necessario prendere una posizione ferma e seria di fronte a questi veri predatori sociali e globali. In difesa del benessere dei popoli e dell’esistenza degli Stati(12).

Ancora una volta, riemerge dunque quella frizione di cui è parlato precedentemente. Un’interazione tra soggetti posti a due livelli distinti di confronto – lo Stato, inteso come concetto storicamente realizzato, e un attore non statuale – ma che genera un conflitto la cui portata interessa l’intero sistema internazionale. Il 27 febbraio la Corte d’Appello di New York si esprimerà sulla sentenza Griesa e in tale occasione sarà possibile capire a chi andrà assegnato il punto della partita.

 

*Massimo Aggius Vella è laureando magistrale in Scienze Politiche e di Governo, presso l’Università degli Studi di Milano.

 

 

NOTE:

(1)   M. Aggius Vella, “Argentina e FMI a confronto”, pubblicato per la versione on-line di Eurasia – rivista di studi geopolitici, consultabile all’indirizzo http://www.eurasia-rivista.org/argentina-e-fmi-a-confronto/17452/

(2)   Il teso originale del comunicato si trova all’indirizzo http://www.imf.org/external/np/sec/pr/2012/pr12488.htm

(3)   Il primo, con base nel paradiso fiscale delle Isole Cayman, è posseduto dal finanziere conservatore Paul Singer, grande sostenitore e donatore della campagna elettorale di Romney. Il secondo ha invece base a New York.

(4)   Cfr. http://www.ispionline.it/it/pubblicazione/crisis-watch-argentina

(5)   L’obiettivo della legge è favorire l’accesso a nuovi attori all’interno del mercato argentino, insieme alla creazione di nuovi titoli di risparmio. Inoltre, garantisce l’apertura di crediti agevolati alle piccole e medie imprese e l’allargamento degli investimenti in industrie nazionali per combattere la disoccupazione. Cfr. articolo http://www.pagina12.com.ar/diario/elpais/1-208626-2012-11-26.html

(6)   Sono le parole espresse dalla presidentessa Kirchner, all’inizio del suo discorso. L’intero intervento è visibile all’indirizzo http://www.youtube.com/watch?feature=player_embedded&v=jvHBX0hxAWs

(7)   Il testo della sentenza è consultabile, in inglese, al seguente indirizzo http://www.itlos.org/fileadmin/itlos/documents/cases/case_no.20/C20_Order_15_12_2012.pdf

(8)   Cfr. http://en.mercopress.com/2012/10/26/argentina-admits-libertad-is-the-29th-asset-impound-case-by-vulture-funds

(9)   Mutuata dal diritto fallimentare, tale clausola prevede l’obbligo per l’emittente di titoli di trattare in ugual modo i suoi creditori, al fine di evitare un comportamento discriminatorio nel pagamento degli interessi e nel rimborso del capitale. Va notato, tuttavia, che la sentenza contraddice il diritto fallimentare statunitense che forza la minoranza creditrice a conformarsi con l’accordo di rinegoziazione, se accettato dal 70% dei creditori

(10)            Jayati Ghosh, Matías Vernendo, “Why Argentina is now paying for its dangerously successful economic story”, in “The Guardian”, 03 dicembre 2012. http://www.guardian.co.uk/commentisfree/2012/dec/03/argentina-paying-economic-vulture-fund?INTCMP=ILCNETTXT3487

(11)  Anche se parafrasato, il riferimento allo Stato – inteso come concetto storico generale – è chiaro. Il corsivo è mio.

(12)  Queste parole sono tratte dal discorso del 09 gennaio 2012. Il corsivo è mio.

 


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